Il randagismo, un fenomeno irrisolto


L’annoso problema del randagismo in Italia assume caratteri peculiari per numeri, tipologia e modalità rispetto ad altri Paesi Europei.

 

L’assenza di un regolamento europeo che potesse stabilire norme per la gestione dei randagi, la condivisione dei dati per il ritrovamento dell’animale, linee comuni per l’eutanasia dei cani e metodi consoni per la loro cattura, di fatto ha creato enormi differenze tra i vari Paesi. 


In Italia, ad esempio, malgrado nel 91’ si sia intervenuti con una legge dello Stato che demandava alle singole Regioni la gestione pubblica del randagismo, il fenomeno non è cessato. Si stima che il numero di randagi oggi erranti per le strade è equiparabile a quello dell’anno ’84, circa 700 mila. La legge del 91’ venne concepita nell’intento di creare una tracciabilità tra l’animale e il suo padrone attraverso la registrazione presso l’anagrafe canina. Tali buoni propositi nel frattempo non si sono tradotti negli effetti sperati.

 

Un dato che rende peculiare la situazione italiana rispetto a quella dei Paesi europei è rappresentato  dal fatto che la maggior parte dei cani randagi sono meticci. Al contrario, in Gran Bretagna la quasi totalità dei randagi è di razza, la gestione del randagismo viene affidata  a privati e l’anagrafe è facoltativa.  L’eutanasia  avviene solo dopo pochi giorni di permanenza in canile. Nel 2016 in Gran Bretagna sono stati soppressi 3463 cani (fonte Dogs Trust)


E nei Paesi Bassi? Facendo leva sulla sterilizzazione gratuita, un’efficace sensibilizzazione  delle persone, sanzioni salatissime quantificabili in migliaia di euro e pene per i trasgressori  fino a tre anni di carcere senza possibilità di uscita per cauzione, il fenomeno del randagismo è stato ufficialmente debellato. Un rapporto del 2012 della Rscpa International (Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals) ha poi evidenziato che circa il 32% dei Paesi europei applicava l’eutanasia dopo un determinato periodo di permanenza in canile che spaziava dai 3 ai 60 giorni. Solo il 10% dei Paesi non permetteva l’eutanasia, tra questi l’Italia sin dal lontano 91’. 


Di recente la Lav (Lega anti vivisezione) ha reso noto significativi dati: nel 2016 i cani presenti nei canili-rifugio sono diminuiti rispetto al 2006 di circa il 26%.Sono 79.000 unità con una certa differenziazione regionale.  


Nelle Regioni del Centro e Sud Italia, il numero dei cani randagi continua a essere importante ,mentre nel Nord Italia il randagismo canino è più contenuto. L’ultima stima del Ministero della Salute sui cani randagi risale al 2012 quando si stimò un numero tra 500.000 ai 700.000 di cani randagi. Una crescente sensibilità verso i cani ha portato come beneficio all’accrescimento del 57% delle iscrizioni all’anagrafe canina nel periodo tra il 2006 e il 2016. Contemporaneamente, però, non ha prodotto sufficienti risultati per quanto riguarda le sterilizzazioni di cani, che nel 2016 sono state soltanto 26.841. Tutto questo  ha una ricaduta economica per la collettività. Un cane in un canile costa mediamente 1.277,50 all’anno (fonte Lav). Questa cifra va moltiplicata per ogni anno di permanenza del cane in canile che in media è di 7 anni. 


Esistono poi i casi in cui il cane, pur avendo modificato il proprio status perché defunto o assegnato in affidamento o altro, continua a permanere nei registri dell’anagrafe canina per altri anni. L’omessa modifica di qualche operatore distratto può cosi rappresentare per lo Stato un danno erariale importante.